Un italiano negli USA al tempo del Cornavirus.

Riccardo è un cuoco italiano che lavora negli Stati Uniti, in un bellissimo ristorante a Morris, in Connecticut. Come molti ragazzi ha realizzato il sogno di fare un esperienza lavorativa all’estero.

In questa sua storia ci racconta come sta vivendo lui questa pandemia lontano dagli affetti e da casa, in uno stato dove i cittadini comprano le armi per difendersi dalle ingiustizie governative.

È iniziato tutto in modo strano, percepivo però che stava per iniziare un periodo surreale. Era metà gennaio quando giravano le prime notizie sul Coronavirus, erano poche e molto vaghe, ne parlavano solo pochi minuti i telegiornali nazionali.

Il locale dove lavoravo aveva deciso di chiudere qualche settimana durante il periodo pre-primaverile per fare alcune ristrutturazioni. 

Per me è stata l’occasione per organizzarmi un viaggio di due settimane negli States.

Intanto nei notiziari non si dava molta importanza al Coronavirus, era solo una notizia che passava tra un servizio di economia e la sezione sportiva. 

Meglio così, io ero pronto a partire per il mio viaggio negli States. Le tappe del mio viaggio erano Los Angeles, San Francisco e New Orleans. Neanche a farlo apposta, avevo scelto due dei quattro stati più colpiti dal Covid-19 qui in America. 

Era fine febbraio e le poche notizie che mi arrivavano dall’Italia sul Coronavirus erano molto confuse, quasi incomprensibili. Mi sono reso conto di quanto la situazione fosse critica solo dopo l’inizio della quarantena in Italia. Anche qui il negli Stati Uniti il contagio era già iniziato, ma nessuno (purtroppo) aveva dato la giusta importanza al problema.

Nel frattempo il mio viaggio alla scoperta dell’America continuava. Ero a New Orleans, culla del jazz e ultima tappa del mio viaggio prima del rientro a Boston, quando i media americani iniziano a martellare con le notizie relative al Coronaviurs: pandemia, morti, contagi. Erano solo queste le parole che si sentivano in Tv. 

Il primo ad essere colpito dal Coronavirus è stato lo sport: l’NBA. Stavo guardando una partita in diretta  quando, nelle notizie che passano sullo schermo si parlava di due giocatori professionisti contagiati. Due giorni dopo quella partita è stata presa la decisione di sospendere il campionato fino a data da destinarsi.

Dai notiziari si capiva che ad essere contagiati da Covid-19 erano solo le star del grande e piccolo schermo e i personaggi facoltosi dello show business americano. Questo perché, fino a qualche settimana fa, il tampone veniva eseguito per la modifica cifra di 3200 $ quindi solo i ricchi si potevano permettere il tampone. Qui in America, si sa, è la  sanità privata che detta le regole. Quindi i dati dei contagiati da Covid-19 non erano assolutamente reali.

Io nel frattempo ero arrivato alla fine del mio fantastico viaggio e in aeroporto a New Orleans, guardandomi attorno, ho realizzato che ero uno dei pochi a non indossare la mascherina. Quello è stato il momento dove mi sono davvero reso conto di quanto fosse seria la situazione. 

Sono rientrato in Connecticut appena in tempo per scoprire che le attività di ristorazione (quella dove lavoro io) stavano chiudendo. All’inizio a causa delle numerose prenotazioni cancellate, poi a fine marzo è arrivato l’obbligo di chiusura dal decreto governativo. 

Da quel momento qui in città solo confusione e caos.

Chiuse le scuole, i college e le banche. I telegiornali non parlavano d’altro: ogni rete televisiva ha i propri esperti, le proprie storie e i propri punti di vista sulla Pandemia.  Il governo americano non è stato molto chiaro con la popolazione, c’era molta confusione, la Casa Bianca infatti non ha seguito una linea precisa e costante. Le notizie che arrivavano erano a momenti rassicuranti altre allarmiste.

Questa confusione mediatica ha portato a una vera situazione di isteria di massa (per fortuna non in tutti in tutti gli Stati), condizionando, tuttora, questo instabile momento.

Tre giorni dopo la dichiarazione del presidente Trump sulla pandemia, in America sono state comprate tutte le armi dai negozi. Si dice che non si può trovare più un solo proiettile dal Maine al Texas. Io, non americano, ho fatto molta fatica a capire il perché di questo comportamento.

Incuriosito mi chiedendo cosa pensavano di fare gli americani con tutte quelle armi. Forse sparare all’aria per colpire il virus? Dicevo tra me e me erroneamente ridendo. 

Ho subito cambiato atteggiamento sull’argomento quando ho chiesto il perché gli americani comprassero armi ad un ex collega statunitense. Lui mi ha spiegato che in realtà che c’è poco da scherzare. In America non esiste la cassa integrazione e la disoccupazione (se applicabile) riesce a coprire al massimo il 50% dello stipendio. In busta paga, quindi al lavoro, sono collegate le assicurazioni sanitarie e alcune agevolazioni. Se una persona perde il lavoro immediatamente viene sospesa l’assicurazione sanitaria. 

Di conseguenza qui si respira aria di paura e incertezza.

Sebbene la situazione non sia critica al punto di diventare incontrollabile e catastrofica la paura rimane. Ad oggi, metà aprile, il governo americano non ha ancora stabilito l’obbligo di non uscire di casa, però devo dire che gli americani hanno scelto l’isolamento.

C’è stata la fuga dei ricchi da New York nelle seconde case, lo stop a qualsiasi evento o necessità che possa dare luogo ad assembramenti di persone, e devo dire che gli americani ( o per lo meno la maggior parte) cerca comunque di evitare il dilagare del contagio.

Il governo ora sta prendendo provvedimenti di tipo economico come lo “stimulus” che prevede 1200 $ per ogni cittadino americano residente negli States, o il “war act”, la conversione di aziende private per la produzione pubblica di respiratori, mascherine e materiale sanitario che servirà per la ripresa economica. Il ritorno alla “normalità“ è previsto per la seconda metà di maggio, non a caso, giusto in tempo. Sei mesi prima delle prossime elezioni presidenziali  previste per quest’anno.

Non sono riuscito a rientrare in Italia prima del grande blocco delle frontiere, ma penso che per tantissimi motivi, in primis quello sanitario, l’Italia sia il posto migliore dove trovarsi in questo momento di Pandemia. 

Il mio visto e il permesso di soggiorno scadranno ad agosto, quindi per ora rimango chiuso in casa nella speranza di poter presto viaggiare ancora negli USA come sognavo un anno fa quando sono partito!

Riccardo

Connecticut, New England Meridionale

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